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equipaggiata, armata ed approvigionata, d'altra parte la nave, il suo o i suoi armatori, il suo agente od i suoi noleggiatori, non devono essere responsabili nè ritenuti tali, del danno o della perdita cagionati da colpa od errore di navigazione o di gestione della nave).

Se di questo articolo, isolamente citato, i sostenitori si affrettano a valersi per suffragare il loro asserto, dimenticano però che l'Act in quistione all'art. I° determina, con lodevole precisione, gli obblighi cui l'armatore non può sottrarsi. stabilendo che è vietato in modo assoluto all'armatore, capitano, agente o gerente di una nave d'inserire nel contratto di noleggio o nelle polizze di carico, qualsiasi clausola che li esoneri dalle perdite od avarie provenienti da negligenza, colpa o difetto di caricamento, stivaggio, guardianaggio, attenzione o conveniente consegna di qualsiasi merce loro affidata. Per conseguenza qualsivoglia clausola di tal genere inserita nei contratti di noleggio o nelle polizze di carico è nulla e di nessun effetto.

Finchè i sostenitori mi diranno che è soltanto con giudizi maturati a tavolino, ed emessi dopo di avere con calma e ponderazione, lungamente vagliato ed esaminato tutte le particolarità ed accidentalità della rotta e dei movimenti delle due navi, e tutte le circostanze accessorie meritevoli di considerazione, che è facile di stabilire quali manovre un capitano, in un dato momento, avrebbe dovuto eseguire, io non potrò, in certi casi, che dar loro ragione; anzi ammetto volentieri che nel momento del pericolo, in quel momento cioè, in cui il capitano, conscio della grave responsabilità che gli incombe, deve basandosi unicamente sopra le sue osservazioni ed impressioni, spesse volte incerte e dubbie sulla vera situazione - dare immediatamente il comando decisivo, la cosa sia ben diversa da quanto può giudicarsi stando seduti a tavolino.

Ma nessuno vorrà farci credere che tutti i capitani, nell'imminenza del pericolo perdano la testa; i più, anzi, danno prova di un sangue freddo ammirabile ed hanno pronta, direi, la visione della manovra esatta da ordinare.

E quando i fautori del nuovo sistema, vengono a dirvi che nelle collisioni, non si può, per l'anormale stato d'animo in cui potrebbe trovarsi un capitano, parlare di colpa da parte sua, nè per conseguenza di responsabilità dell'armatore, ma semplice

mente di fortuna di mare, cioè di una delle tante casualità e accidentalità speciali e inerenti alla navigazione marittima; allora è lecito rispondere che ciò non basta, ed è ben lungi dal convincerci della necessità di abolire la responsabilità della nave

urtante.

Queste singolari dissertazioni teoriche, conducono per naturale conseguenza i fautori, alla ancor più singolare affermazione che siccome nella maggior parte dei casi si è in dubbio intorno alla esistenza di una colpa punibile, così ripugna pienamente coll'equità, gravare sull'armatore, completamente immune da colpa, la responsabilità del danno a meno che non gli si possa imputare una culpa in eligendo; ciò che, soggiungono, raramente accade, in quanto che al comando della nave non può preporre che capitani muniti di patente governativa; ed in appoggio, citano una disposizione di legge, del Codice civile germanico, disposizione comune, del resto, a tutti i Codici di popoli civili; il quale al § 831 dice:

Wer einen Anderen zu einer Verrichtung bestellt, ist zum Ersatze des Schadens verpflichtet, den der Andere, in Ausführung der Verrichtung einem Dritten widerrechtlich zufügt. Die Ersatzpflicht tritt nicht ein, wenn der Geschäftsherr bei der Auswahl der Cestellten Person und bei der Leitung die im Verkehr erforderliche Sorgfalt beobachtet.....)

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(Colui che commette ad un altro un lavoro è tenuto a risarcire il danno che questi nell'esecuzione del lavoro stesso arreca illegalmente ad un terzo. Quest'obbligo cessa se l'imprenditore nella scelta della persona impiegata e nella direzione, adopera la cura necessaria.....).

Non è mio compito di esaminare le conseguenze giuridiche che deriverebbero da una eventuale applicazione di questo principio di diritto civile, alla materia commerciale; i giuristi potranno, meglio di me e con maggior copia di argomenti, dimostrarvi, se, e fin dove, può sostenersi in materia di collisioni, la applicabilità del principio qui sopra enunciato.

Venendo ora ai risultati pratici, che i sostenitori del progetto si ripromettono, farebbe opera vana colui che cercasse di rintracciarvi una qualsiasi affermazione del diritto all'indennità da

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parte di chi, senza colpa alcuna, ha i suoi interessi danneggiati da una collisione. È giusto però convenire che costoro credono di potervela tale indennità offrire « vistosa » e « sicura, »> presentandovela sotto forma della responsabilità personale del capitano, responsabilità, che dovrebbe, secondo loro, fare l'ufficio di una spada di Damocle, sospesa sul capo del capitano, il quale come unico responsabile, dovrà scontare il proprio fallo colla perdita dei propri beni, poco importando se il danneggiato troverà o non, in essi, un adeguato e sufficiente compenso!

Come panacea finale i sostenitori vi offrono dunque la responsabilità del capitano e vi lasciano generosamente la porta aperta per rivalervi sopra di lui del danno patito, ogniqualvolta stimerete opportuno di farlo. Si domanda però, come se la caverebbero costoro se si dovesse fare assegnamento unicamente sul ricorso contro il capitano, le cui sostanze sono sovente assai limitate, nei casi, per esempio in cui e sono frequenti — vi fossero da tacitare tutte le colossali domande d'indennità da parte di persone ferite, o dei parenti dei morti nella collisione!

Concludendo, non può negarsi che il ragionamento dei proseliti del progetto sia, in alcuni punti, sufficientemente logico, ma è mia opinione che se la proposta può, esaminata alla stregua di discussioni teoriche, apparire attuabile, non offre nessuna probabilità di venire adottata in pratica.

A mio avviso, il sistema dei Tribunali arbitrali già in uso in diversi porti importanti del Nord Europa è il più razionale e pratico per decidere tutte le controversie nascenti dalle collisioni.

Del resto, quale avvenire è riservato alla nuova proposta, lo dirà il tempo.

LES PORTS FRANCS

LE PORT FRANC DE COPENHAGUE

COMMUNICATION

PRÉSENTÉE PAR

M. le Commandeur MÜNTER

Capitaine de vaisseau en retraite

de la Marine danoise.

Parmi les grands travaux publics exécutés en faveur de la navigation pendant la dernière décade du XIXe siècle, le nouveau port franc de Copenhague occupe une place des plus impor

tantes.

Copenhague a depuis longtemps joué un rôle comme place d'entrepôt pour les marchandises destinées aux pays environnant la Baltique. Il devait ce rôle non seulement à sa position à l'entrée de cette mer, mais aussi aux ressources qu'il offrait comme capitale.

Mais le moment arriva où le vieux port de Copenhague ne pouvait plus satisfaire aux exigences des temps actuels.

A cette époque, le gouvernement allemand commençait justement le canal qui relie actuellement la mer Baltique avec la mer du Nord. Quoique ce canal fût construit surtout pour des raisons stratégiques, il était à craindre qu'une partie des navires de commerce profitât de cette route un peu plus courte, crainte qui du reste ne s'est pas réalisée, et comme on voulait en même

temps développer les transactions et le commerce du pays, on se décida à construire un nouveau port avec les privilèges et les installations d'un port franc.

Ce travail a été commencé en 1891, et le port franc a été ouvert à l'exploitation en 1898.

Il a été construit sur une grande échelle et bien pourvu des installations les plus perfectionnées: magasins avec des ascenseurs, hangars, grues électriques et réseau de voie ferrée le mettant en communication avec tous les points de l'Europe continentale.

L'accès du port est facile. Il est bien protégé par des briselames, et on y trouve, près des quais, une profondeur d'eau jusqu'à 9 mètres.

Pour ne pas fatiguer le Congrès, je ne citerai que les dimensions suivantes :

Longueur des quais: 4.000 mètres;

Superficie des magasins et des hangars couverts: 70.000 mètres carrés ;

Capacité des silos: 20.000 tonneaux de grain.

Dès l'ouverture du port franc, il s'est créé sur place beaucoup d'établissements commerciaux et industriels. Au printemps 1899, il y en avait déjà 71.

L'administration du port est confiée à une société anonyme sous le contrôle du gouvernement.

Les manutentions des marchandises se font rapidement et à un prix très modéré.

Ainsi, on a pu décharger en soixante-dix heures de travail un navire ayant en cale 5.900 tonneaux de maïs. Pour ce même navire, les dépenses totales dans le port n'ont été que de 4.670 francs, dont 615 francs pour les droits de quai.

La communication entre les différentes îles du Danemark et le continent se fait à l'aide de bacs à vapeur, qui transportent sur leur pont les wagons de passagers et de marchandises. Ce service de bacs est en correspondance avec les lignes des chemins de fer. Deux de ces bacs effectuent le trajet entre le port franc et la ville de Malmo en Suède, établissant de cette façon une communication directe avec ce pays.

Quoique cette ligne de bacs soit nouvelle, elle a, en 1899,

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